Svezia-Italia: e i giovani dove sono finiti?

Svezia-Italia © AP

Svezia-Italia: e i giovani dove sono finiti?

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La sconfitta della nostra nazionale nella partita Svezia-Italia… Questo è sicuramente l’argomento più trattato in questo 11 novembre, giorno in cui, 99 anni fa, si concludeva il primo conflitto mondiale (come sono cambiate le priorità nel corso del tempo!). L’Italia vista ieri sera in campo a Solna lascia poco spazio alle giusitificazioni: lenta, distratta, stanca, poco intraprendente.

Sicuramente sfortunata sul gol col quale ha perso 1-0, ma, come dice un proverbio napoletano, “’O cane mozzeca ‘o stracciato”. E senza dubbio la nazionale ci ha messo del suo per perdere questa partita. Peccato che i diretti interessati non se ne siano nemmeno accorti. Ventura punta il dito contro l’arbitro. Bonucci minimizza. Darmian parla addirittura di “ottima partita” dell’Italia. Peccato che le statistiche abbiano registrato soltanto un tiro in porta da parte degli azzurri.

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Svezia-Italia © Getty Images

Passione e responsabilità

Dopo due mondiali con eliminazione al primo turno, fallire la qualificazione al prossimo sarebbe estremamente vergognoso. Mancata qualificazione già avvenuta nel lontano 1958, quando però al Mondiale partecipavano solo 16 squadre, non il doppio, come adesso. Eppure tale “apocalisse”, come la definisce il presidente della Lega Calcio, sarebbe a questo punto quasi auspicabile. Eh sì, perché guardando i campionati dalla TV, senza i milioni degli sponsor e soprattutto senza più alcuna credibilità, forse si ricomincerebbe a pensare al calcio come ad uno sport, sano, appassionante, bello.

Quello che in Svezia-Italia nessuno ha visto nelle maglie azzurre è proprio la passione, la bellezza del gioco, la responsabilità di giocare per una nazione che spende fior di quattrini per il calcio e che permette a pochi privilegiati di fare una vita da nababbi tirando solo due calci ad un pallone. La responsabilità!

I giovani!

A guardare i dati anagrafici dei giocatori in campo, quei pochi che veramente si danno ancora da fare hanno tutti più di 30 anni. I più giovani, come al solito, arrancano. Si, proprio loro, quelli che dovrebbero correre, aggredire, combattere, creare, risolvere, agire… Stanno lì imbambolati nell’attesa che l’anziano della situazione sbrogli tutto. E se capita, come è successo, che la sfortuna si accanisca proprio sui condottieri (un tiro in porta degli avversari che rimpalla su De Rossi e spiazza Buffon), i giovani che fanno? Semplice, stanno a guardare: perché assumersi delle responsabilità!? Tanto, se si torna a casa, lo si fa sempre in auto di grossa cilindrata…

Chi ha buona memoria ricorderà sicuramente il diciannovenne Buffon agli esordi in nazionale maggiore: un fenomeno! Totti, Del Piero, Cannavaro, Nesta… Tutti pronti a mettersi in gioco, a dare il massimo, a dare tutto sul campo pur di non sfigurare con la maglia della selezione nazionale, fin dal primo giorno. E oggi, dopo 20 anni, sono ancora capitan Buffon e pochi altri “senatori” a doversi accollare il peso e la responsabilità di chi non sa fare il suo mestiere con passione.

Dov’è Antonio Benarrivo? A 26 anni, alla fine degli ottavi Italia-Nigeria del ’94, dovettero andarlo a raccogliere in due perché aveva dato in campo tutto quello che poteva. Dov’è Fabio Grosso? Nel 2006, a 28 anni, ha fatto chilometri senza mai accusare la stanchezza. E dov’è Giuseppe Bergomi? Nel 1982, a 18 anni, fu il più giovane nazionale italiano convocato ad un mondiale: nella finale venne incaricato di marcare il due volte pallone d’oro Karl-Heinz Rummenigge, il risultato lo conosciamo tutti. Altro che Verratti e compagnia… Dove sono i giovani? Quando scenderanno veramente in campo?

Bergomi Rummenigge

1982: il pallone d’oro Karl-Heinz Rummenigge trova il muro del giovane Giuseppe Bergomi © Omega