Inconsapevolezza e comodità del pensiero contemporaneo: una nota sull’8 marzo

Inconsapevolezza e comodità del pensiero contemporaneo: una nota sull’8 marzo

Inconsapevolezza e comodità del pensiero contemporaneo: una nota sull’8 marzo 1024 768 studiopalmieri

Tutti Filistei?

Ezechiele, 25: 15-17:

15Così dice il Signore Dio: Poiché i Filistei si sono vendicati con animo pieno di odio e si sono abbandonati allo sterminio, mossi da antico rancore, 16per questo, così dice il Signore Dio: «Ecco, io stendo la mano sui Filistei; sterminerò i Cretei e annienterò il resto della costa del mare. 17Farò su di loro terribili vendette con castighi furiosi, e sapranno che io sono il Signore, quando eseguirò su di loro la vendetta».

Potrebbe sembrare una citazione di Pulp Fiction, ma in realtà si tratta del reale passo biblico dal quale gli sceneggiatori del film hanno tratto la tiritera che Jules recita prima di premere il grilletto.

Ezechiele

Il profeta Ezechiele ritratto da Michelangelo nella Cappella Sistina

Ma chi erano i Filistei, e perché la Bibbia ce l’ha tanto con loro? Perché considerati meschini, conformisti, tradizionalisti, gretti, dominati dall’interesse economico, ricercatori più della forma che della sostanza delle cose, dediti non ad un Dio che richiedeva sacrifici e umiliazioni, ma al più comodo Padrone del benessere e del vizio, quel Ba’ al Zebub che la tradizione cristiana ricorda con il nome di Belzebù (alias Satana), principe delle tenebre.

Perché questa storia ci interessa? Certo non per fare una ricerca approfondita dal punto di vista storico sui Filistei, o una trattazione teologica su Satana: riempiremmo migliaia di pagine senza raggiungere alcuna conclusione. La storia dei Filistei ci serve invece a capire una cosa molto importante del pensiero popolare contemporaneo, ossia la sua completa e spesso arrogante inconsapevolezza.

Forma e sostanza. O semplice comodità?

Oggi si bada più alla forma che alla sostanza. Oggi il meccanismo del passaparola, delle allegre chiacchierate che, secondo i più tradizionalisti, sono ormai state sorpassate dall’utilizzo improprio e sfrenato dei moderni sistemi di comunicazione di massa, non solo è rimasto spudoratamente in auge, ma continua ad alimentarsi di un ulteriore meccanismo che è l’offesa più becera e irriverente che si possa fare all’intelligenza umana: la comodità.

Se un tempo la comodità spingeva l’uomo medio a dire una cosa piuttosto che un’altra, per salvare la forma senza entrare nella sostanza, oggi il mondo social lo induce a fare di peggio, utilizzando la sfera informatica allo stesso modo in cui prima gestiva “la piazza”, riempiendo le orecchie e i cervelli dei suoi astanti con quella naturale ma opinabilissima vox populi che, anch’essa erronea citazione biblica, si è soliti spesso associare alla vox Dei, decretando così la più stupida delle convinzioni, secondo cui l’opinione più “diffusa” sarebbe sempre la più “veritiera”.

Eppure viviamo in un tempo in cui un minimo di scuola dell’obbligo l’abbiamo fatta tutti, e se anche non siamo arrivati a studiare fino in fondo il pensiero dei filosofi greci, dovremmo comunque aver assimilato il fatto che l’opinione comune, quella più condivisa, è spesso frutto della retorica piuttosto che della verità. Almeno questo, la nostra politica ce lo ha insegnato bene (anche perché non aveva molto altro su cui istruirci).

Ciononostante, così come all’epoca in cui crescevano i miei genitori le cose erano vere “perché lo diceva la televisione”, così oggi le cose sono vere “perché lo dice Facebook, perché l’ho visto su Internet, perché ci hanno fatto un blog, perché l’ha twittato Tizio, perché l’ha postato Caio, perché l’ha taggato Sempronio”.

Ma chi l’ha detto che, all’epoca, la televisione diceva la verità? Quel meccanismo del passaparola e delle allegre chiacchierate che il nuovo mezzo di comunicazione di massa aveva moltiplicato in un periodo in cui le stupidaggini da raccontarsi, nonostante la frivolezza, erano sicuramente migliori rispetto al ricordo degli orrori della guerra… siamo sicuri che fosse così schietto e genuino?

Chi dice la verità?

Parlare, parlare, parlare… Ma per dire cosa? L’errore, purtroppo, sta solo ed esclusivamente nella mente dell’uomo, non certo negli strumenti che esso utilizza per comunicare con gli altri. Si parla di ciò che avviene tra due persone ergendosi a giudice ed elargendo giudizi (non richiesti) senza aver nemmeno raggiunto la possibilità minima per farlo, ossia ascoltare il pensiero di entrambe le persone, come un giudice che condanna l’imputato ascoltando solo l’accusa: capisco che non è passato molto tempo da quando questo avveniva (o avviene?), ma forse non è chiaro, a chi giudica inconsapevolmente, che sta solo concedendo al proprio pensiero una “fascistizzazione” che è quanto di più offensivo nei confronti della libertà di pensiero.

D’altronde, ascoltare una sola voce e prendere una posizione, seppur inconsapevole, effettivamente è più comodo. Perché chiedere agli altri come la pensano! Perché perdere tempo e fatica impiegando il cervello per quello che è in grado di fare, quando possiamo vivere la nostra vita leggendo storie semplici ed eticamente irrilevanti, guardando programmi televisivi banali e qualunquisti, discutendo sul pensiero degli altri in maniera ingenua e approssimativa! Perché informarsi sul corso degli eventi quando possiamo ascoltare qualcuno che l’ha già fatto per noi (senza assicurarci che l’abbia fatto veramente)! Chi ce lo fa fare?

Mi rimbombano ancora nella mente i moniti di quei docenti universitari che “dialogavano” con noi studenti piuttosto che sottoporci a miseri e inconcludenti “interrogatori” sul tema. Ci chiedevano di essere noi stessi “veramente”, di “avere un pensiero”, di non conformarci a quello che dicevano i libri solo perché scritti da autori qualificati. Ci consigliavano di analizzare prima di criticare, di essere curiosi di sapere piuttosto che smaniosi di raccontare. Ci insegnavano ad essere intellettuali, non liberi pensatori accomodanti. Ci imponevano di utilizzare “da soli” il nostro cervello, per crearci autonomamente il nostro modo di guardare il mondo, per utilizzare i libri come strumenti di conoscenza e non come bibbie, per “coltivare” da soli la nostra “cultura” (chiedo perdono per la presunzione del virgolettato).

Quanti sono in grado oggi, di contestare che il linguaggio verbale sia il mezzo di comunicazione più diretto e utilizzato dagli esseri umani? Pochi, purtroppo. Eppure il fatto che il linguaggio verbale sia diviso in migliaia di lingue diverse, idiomi, dialetti, non sembra sufficiente a convincere alcuno di quanto esso sia forse il più complesso, frammentario e misterioso: non c’è bugia che non si possa dire, non c’è menzogna che non si possa raccontare. Se c’è un linguaggio con cui si può eludere la verità, è proprio quello verbale. Riguardo alla diffusione, forse varrebbe la pena di studiare la mimica e la fisiognomica: ne vedremmo delle belle!

Tuttavia, oggi più che mai, nonostante il progresso tecnologico gli fornisca gratuitamente la possibilità di concedersi un minimo di informazione autogestita, l’uomo preferisce la comodità e l’inconsapevolezza: l’ascolto e la condivisione della parola. Preferisce credere che il mondo finisca alla chiusura di un libro, al termine di un telegiornale, all’interruzione di una chiacchierata tra amici. Preferisce credere di essere stato lasciato dalla moglie perché l’ha tradito, piuttosto che chiedersi perché l’ha fatto e in cosa è mancato lui perché ciò non avvenisse. Preferisce credere che i sogni siano veramente tali se non si trasformano in realtà. Preferisce conformarsi all’idea degli altri perché farsene una per proprio conto potrebbe risultare troppo impegnativo.

Diceva Bertrand Russell:

Non vorrei mai morire per le mie idee, perché potrebbero essere sbagliate.

Quanta gente avrebbe bisogno di pensare e non ha alcuna voglia di farlo! Ogni qualvolta ci troviamo di fronte ad un’informazione, l’unico pensiero sensato che la nostra mente dovrebbe produrre, che sia in relazione alla notizia di prima pagina di un giornale o alla confidenza del vicino di casa, dovrebbe essere la sospensione del giudizio. Ma è difficile, lo so bene: comporta impegno, pensiero, ragione, discernimento. L’inconsapevolezza e l’omologazione, come sempre, sono la strada più comoda.

8 marzo: tragedia o emancipazione?

Tanto per fare un esempio tenendoci sul contemporaneo, oggi è l’8 marzo. A pensarci bene, già quest’affermazione potrebbe essere presuntuosa. Dovremmo infatti spiegare perché oggi è il giorno 8 marzo e non un altro giorno, perché siamo nel 2014 e non in un altro anno (e qui avrei ben pochi appigli a cui aggrapparmi, visto l’errore colossale di Dionigi il Piccolo, grazie al quale ogni anno della nostra vita sarà sempre un anno “sbagliato”). Ma diciamo che sulle date e i calendari c’è qualcosa di più che la semplice “opinione diffusa e condivisa”, per cui diamo per buona la notizia che oggi è il giorno 8 marzo dell’anno 2014.

Oggi si festeggia la donna, la sua emancipazione, la sua voglia di essere alla pari dell’uomo nella società moderna, il suo progresso rispetto alla “donna di casa” di vecchio tipo. Tralasciando (per gli stessi motivi dei Filistei) tutto ciò che forse oggi farebbe apparire la donna come un essere umano messo forse un pochino peggio rispetto alla “Madonna” medievale che era quasi venerata (e non succube) dal mondo maschile, chiediamoci da cosa deriva l’8 marzo: perché proprio oggi?

Basta chiedere in giro, leggere alcuni giornali o informarsi sui social network: l’8 marzo 1908, a New York, l’incendio di una fabbrica di camicie causò la morte di centinaia di donne. Certo, è così, lo dice la rete, lo citano le stesse donne, l’ho letto sul giornale, ne parlano anche nei talk show televisivi…

mimosa, simbolo 8 marzo

La mimosa, simbolo della Giornata internazionale delle donne, 8 marzo.

Quanti hanno avuto la curiosità di dare un’occhiata alla più comune e banale delle enciclopedie on-line?

Giornata internazionale della donna

Come al solito, l’inconsapevolezza batte la ragione, e quindi è più comodo pensare a una tragedia per ricevere attenzioni. Le donne festeggiano la loro festa per rivendicare i propri diritti, non per pretenderli. 8 marzo è  una data che celebra un gruppo di donne capaci di ribellarsi alla guerra, non pronte a chiedere emendamenti per le quote rosa e altre inezie del mondo contemporaneo che rischiano di distruggere in breve tempo interi decenni di lotte di genere.

Purtroppo, nell’epoca in cui l’uomo vive quella che il Dio di Benigni etichettava come “l’epoca del rincoglionimento totale”, la donna reagisce spesso come il pazzo Marco Messeri di Ricomincio da tre:

Orgoglio e dignità… Dignità e orgoglio… No! Orgoglio e… Dignità […] Io me ne frego della dignità.

Inconsapevole, comodo, omologato, accomodante… più che mai contemporaneo! Il pensiero dell’uomo moderno è spesso più forma che sostanza, una bella pelliccia regalata ad un senzatetto, una pacca sulla spalla per convincersi che le cose semplici siano le più belle. L’interesse economico è ritornato quanto mai attuale e necessario, per tutti, nessuno escluso. E quindi, nella più assoluta e naturale riproposizione di corsi e ricorsi storici, tutti nuovamente Filistei, tutti alla ricerca di ciò che non è buono ma che ci fa comodo, tutti affaccendati nel vox populi, vox Dei… e tutti in attesa della terribile e furiosa vendetta.

Sìì, certamente!